Lavoro da tempo su questo problema. Molti economisti ritengono che un debito pubblico elevato ostacoli la crescita di un paese. Per esempio, si sostiene, un indebitamento eccessivo può segnalare l’arrivo di una maggiore imposizione fiscale, scoraggiando per questa via nuovi investimenti. Ma non siamo tutti d’accordo. Ci ricordiamo dell’acceso dibattito tra Krugman e Reinhart & Rogoff? Le tesi di Reinhart & Rogoff potrebbero avere influenzato i decisori incaricati di gestire la crisi europea del debito pubblico dei primi anni 2010. Nelle stesse parole di Reinhart e Rogoff:
“Nel nostro studio del 2010, trovammo che, nel lungo periodo, la crescita è all’incirca 1 punto percentuale più bassa quando il debito pubblico è più alto del 90 per cento rispetto al prodotto interno lordo.”
Carmen M. Reinhart e Kenneth S. Rogoff, 26 aprile 2013, The New York Times
Esistono davvero valori del debito con tali proprietà? Paul Krugman ritiene assolutamente di no. In un recente libro, Austerità: quando funziona e quando no (2019, Rizzoli), Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi hanno riorientato questo dibattito sul come curare la “malattia da debito”. In poche parole, gli autori hanno raccolto evidenza empirica a sostegno dell’idea che un programma di austerità che faccia affidamento sul taglio delle spese è meno doloroso di un programma improntato all’aumento dell’imposizione fiscale.
Mi interesso a una questione limitrofa. Un debito eccessivo può far crescere le probabilità di default. Punti di svolta nella politica di bilancio sembrerebbero dunque inevitabili al fine di limitare questi rischi. Quando avrebbero luogo questi punti di svolta? La mia conclusione è che, a volte, governi troppo attenti al consenso immediato potrebbero decidere di un piano di austerità quando è ormai troppo tardi per scongiurare una crisi finanziaria. In questi casi, la dinamica del debito pubblico sarebbe così fragile da ricordare una passeggiata sul filo di un rasoio, i cui esiti dipendono prevalentemente dalle intemperie della congiuntura economica, e non più dalla volontà degli stessi governi.
In un altro post, spiegavo che la mia non è ovviamente una tesi per cui i deficit primari conducano meccanicamente a un default.
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