(Questo breve articolo riprende un post per “POST Policy” del 29 aprile 2020 con Renato Loiero, Direttore, Servizio Bilancio dello Stato, Senato della Repubblica Italiana)
Le grandi fluttuazioni dei mercati, sebbene ancora in essere, sembrano relativamente più contenute rispetto a quelle che avevano accompagnato l’esplosione della pandemia verso la fine di febbraio. Per esempio, in questi giorni, “l’indice della paura” di Wall Street, l’indice VIX di Chicago Board Options Exchange, si attesta su valori molto meno della metà del picco di oltre 80 punti percentuali registrato il 16 marzo, il suo record storico (dinamiche che avevo commentato in un post precedente). L’incertezza che domina i mercati è significativamente meno marcata rispetto a quella di qualche settimana fa. Perché? Per tante ragioni. Prima tra tutte è che la politica economica sembra disposta a volere imparare, anche se non sempre in modo disciplinato, dalle lezioni impartite dalla crisi globale finanziaria dello scorso decennio. E’ l’auspicio che avevo formulato in un’intervista con un settimanale locale il 5 aprile 2020. Le principali banche centrali stanno in effetti intervenendo massicciamente e capillarmente nel tentativo di sostenere i mercati. I meccanismi decisionali della politica fiscale nel mondo cominciano probabilmente ad imboccare una sorta di sentiero di equilibrio. A noi sembra ragionevole esprimere cauto ottimismo e credere che i vertici a livello europeo in queste settimane ridurranno l’incertezza che aleggia intorno ai meccanismi di finanziamento delle politiche di risanamento dell’economia.
Ridurre quest’incertezza fa molto bene ai mercati. Ne sia d’esempio il comportamento degli indici di volatilità e gli effetti di retroazione che da questo comportamento scaturiscono. Una minore incertezza fa abbassare gli indici di volatilità del reddito fisso (per esempio il Treasury VIX, o TYVIX) e del mercato azionario (il VIX) (*) Infatti, il comportamento di questi indici entra spesso nel computo degli input decisionali di grandi operatori del risparmio gestito. Se, per esempio, il VIX è molto alto, questi operatori hanno tendenza a vendere. Ma queste vendite, se ingenti, creano le premesse per un ulteriore aumento della volatilità, innestando quindi quel circolo vizioso che aveva contribuito alle grandi turbolenze dei mercati del mese di marzo. Questi effetti di retroazione sono molto preoccupanti, e potrebbero interessare la sfera dell’economia reale. Se, durante questi circoli viziosi, solo uno dei grandi operatori dovesse mai inceppare in perdite colossali, i mercati finanziari globali sarebbero a dir poco devastati. La crisi finanziaria globale del decennio scorso ci insegna che tali sviluppi distruggono l’economia reale. Ai tempi del Covid-19, l’economia reale è già seriamente compromessa. Cercare perlomeno di mantenere mercati finanziari ordinati dovrebbe essere una delle priorità assolute in materia di politica economica. Rassicura, dunque, in questi giorni, osservare volatilità molto più contenute rispetto a marzo, perché questi valori contenuti indeboliscono sensibilmente gli effetti di retroazione e di rischio endogeno.
Attendiamo quindi con ansia i prossimi sviluppi dei vertici europei. Spiegavamo di essere cautamente ottimisti. E’ certo che l’umanità ha affrontato numerose e esperienze estreme negli ultimi dieci o quindici anni: la crisi finanziaria globale, quella del debito pubblico europeo, i problemi di immigrazione, quelli dei cambiamenti climatici, e ora quelli relativi alla pandemia. Riteniamo verosimile attenderci che, prima o poi, queste lezioni di storia saranno apprese in Europa. Sicuramente l’Europa sta cercando, almeno a modo suo, di reagire all’emergenza con misure mai viste prima, e con diverse proposte. E non deve intimorire il fatto di assistere alla nascita di tante proposte. Se l’Europa è anche un progetto politico, è naturale che le sue risoluzioni coagulino complessi meccanismi di mediazione delle parti. Riteniamo che, nonostante le apparenze, i segnali dei governi europei e anche il comportamento dei mercati lasciano presagire che i tavoli di negoziazione saranno sempre più ordinati nei prossimi mesi. Ci aspettiamo che l’Europa abbia imparato dalle lezioni impartite da una crisi finanziaria e del debito gestita disordinatamente e con ritardo in ambiti prudenziale, fiscale e, persino, monetario; o da una crisi migratoria che non ha saputo farci coordinare con le dovuta responsabilizzazione delle parti. Ad una prima lettura, questi punti appaiono poco rilevanti ai fini della crisi di oggi. Ma non lo sono, perché solo la politica può essere in grado di far dialogare governi con finanze pubbliche così eterogenee. E’ lecito attendersi che i passati fallimenti di coordinamento insegneranno all’Europa l’importanza di affrontare le complesse questioni economiche e sociali nel post-Covid-19.
Questo è il momento di pensare in modo positivo. Ma disturba non poco prevedere che questa pandemia lascerà in eredità un debito pubblico molto elevato all’umanità. Sicuramente, gli economisti, anche quelli di grande stampo liberale, pensano che il ricorso all’indebitamento sia giustificato da episodi come guerre o calamità naturali. Ma alla base di questi ragionamenti vi è l’ipotesi che i governi non siano incauti nell’accumulare debito durante periodi più normali. Non siamo particolarmente preoccupati per l’aumento del debito pubblico in paesi come gli Stati Uniti. Lo siamo per alcuni paesi europei dove, l’accumulo del debito pubblico è stato tale da renderne ora difficile, sebbene non impossibile, la sostenibilità. Questo debito comporterà differenze di competitività internazionali che dovranno essere ben gestite dalle future generazioni: più un sistema economico è oppresso dal peso di un grosso debito, maggiori dovranno essere gli sforzi per rimanere a livello. Stabilità finanziaria e sviluppo economico andranno d’ora in avanti di pari passo. Facciamo dunque debito oggi (non abbiamo altra scelta), ma prepariamoci già da ora a gestirne le conseguenze future. Costruire, oggi, un meccanismo tutto europeo di emissione di debito sicuramente aiuta a contenerne il costo (una componente importante della sostenibilità), ma non a diminuirne il peso nelle società future.
(*) Una descrizione in italiano dell’indice TYVIX è apparsa in un articolo su Il Sole 24 Ore del 15 febbraio 2014.